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L’importanza del branding nelle operazioni M&A – Perché il valore del marchio conta più di quanto pensi

Il marchio: un asset intangibile, ma potentissimo

Quando si parla di operazioni di fusione e acquisizione (M&A), il focus tende spesso a concentrarsi su fattori tangibili come fatturato, EBITDA, immobilizzazioni o quota di mercato. Tuttavia, uno degli asset più sottovalutati – e allo stesso tempo tra i più determinanti – è il brand. Il marchio non è solo un logo o un nome: è reputazione, riconoscibilità, fiducia, fedeltà del cliente. In sintesi, è capitale relazionale, spesso invisibile a bilancio, ma fondamentale nella percezione del valore complessivo di un’azienda.

La digitalizzazione, l’economia dell’esperienza e il potere dei consumatori hanno reso il brand uno degli elementi differenzianti più importanti in una transazione M&A. E ignorarne il peso può essere un grave errore strategico.

Branding e valutazione: quando il nome vale milioni

Il valore di un brand può incidere significativamente sulla valutazione di un’azienda. Prendiamo come esempio aziende come Ferrari, Apple o Nike. Gran parte del loro valore è determinato da quello che rappresentano nel mercato, non solo da quanto vendono.

Ma anche nel mondo delle PMI, il branding ha un impatto rilevante. Un’azienda con un marchio forte può:

  • attirare clienti più fidelizzati;
  • ottenere margini più alti;
  • sostenere prezzi premium;
  • ridurre il churn rate (perdita di clienti);
  • attrarre talenti migliori;
  • ricevere maggiore attenzione dagli investitori.

Negli ultimi anni, molti advisor e investitori professionali hanno iniziato a incorporare l’analisi del valore del brand nei propri modelli di valutazione, includendo metriche come il Net Promoter Score (NPS), la notorietà spontanea, il sentiment online e la coerenza visiva e narrativa.

Il brand come fattore di mitigazione del rischio

In una logica M&A, il brand ha anche una funzione rassicurante. Un acquirente si sente più sicuro nell’investire in un’azienda che ha una reputazione solida, una community fedele e un’identità visiva riconoscibile. Questo riduce il rischio percepito, specialmente nei settori B2C, ma sempre più anche in ambito B2B, dove la relazione fiduciaria è determinante.

Pensiamo a un fondo che valuta due aziende identiche sotto il profilo finanziario, ma con branding completamente diverso: una ha una presenza forte, un sito curato, social attivi e coerenza tra mission e comunicazione; l’altra è anonima, con un’identità visiva trascurata. È evidente quale delle due verrà preferita – o almeno, considerata meno rischiosa.

Acquisire un brand per entrare in un nuovo mercato

Una delle strategie più utilizzate dai grandi gruppi è proprio quella di acquisire brand riconosciuti per penetrare rapidamente nuovi mercati. Invece di costruire da zero un’identità locale, si preferisce acquistare un marchio già radicato, sfruttandone la reputazione.

Questo accade ad esempio quando una multinazionale acquista un marchio alimentare locale per conquistare la fiducia dei consumatori in un nuovo paese. Oppure nel mondo tech, dove le acquisizioni sono spesso guidate da brand community o ecosistemi digitali difficilmente replicabili.

Il brand, in questo contesto, diventa una scorciatoia strategica, un acceleratore di market entry.

Il rebranding post-acquisizione: rischi e opportunità

Una delle fasi più delicate di una M&A è il periodo successivo al closing, quando si decide cosa fare del brand esistente. Lo si mantiene? Lo si integra? Si fa un rebranding completo?

Non esiste una risposta unica. A volte mantenere il marchio originale è essenziale per non perdere il valore costruito nel tempo. In altri casi, unificare sotto un’unica bandiera può rafforzare il messaggio aziendale e semplificare la struttura.

Il rischio più grande? Distruggere valore cancellando un brand amato dal mercato. L’opportunità più interessante? Fare un rebranding strategico e condiviso, in grado di valorizzare l’unione tra le due realtà.

Un buon processo di rebranding post-M&A richiede tempo, ascolto, visione. Non è solo questione di loghi: è strategia pura.

L’identità visiva e narrativa come leva di valore

Un brand solido non si costruisce solo con un bel logo. Serve coerenza tra ciò che l’azienda dice (tone of voice, storytelling, mission), ciò che mostra (grafica, sito, presentazioni) e ciò che fa (servizi, prodotti, customer experience).

Durante una due diligence, gli investitori più evoluti oggi analizzano anche questi aspetti: la qualità del sito web, l’usabilità, la reputazione online, la chiarezza della comunicazione, la presenza nei media. Se un’azienda comunica in modo confuso, o peggio, incoerente, questo può minare la fiducia e ridurre la percezione di valore.

Al contrario, una narrazione solida e ben articolata può far salire l’interesse, aumentare le offerte, e addirittura influenzare positivamente le condizioni dell’accordo.

Il branding interno: coinvolgere team e culture

Un’operazione M&A non coinvolge solo numeri e advisor: coinvolge persone. Il branding ha anche un ruolo fondamentale nel costruire la cultura aziendale e motivare i team durante i cambiamenti.

Un’identità forte aiuta a far sentire il personale parte di un progetto condiviso. Serve a unire culture diverse, a raccontare la visione del “nuovo” gruppo, a ridurre attriti e paure. Nella fase post-acquisizione, il branding interno è uno strumento di change management potentissimo, spesso trascurato ma essenziale per il successo dell’integrazione.

Digital branding e visibilità online: il nuovo biglietto da visita

Nel 2025, il primo contatto tra investitore e impresa avviene (quasi sempre) online. Prima ancora di parlare con un advisor o ricevere un teaser, l’acquirente cerca su Google, visita il sito, controlla LinkedIn, legge recensioni.

Avere un’identità digitale curata non è più un vezzo estetico, è parte integrante del valore percepito dell’azienda. Un sito lento o mal progettato, social abbandonati o una comunicazione incoerente possono svalutare una trattativa prima ancora che inizi. Viceversa, una presenza digitale ben costruita può far alzare il telefono all’investitore giusto.

Esempio pratico: un’acquisizione influenzata dal brand

Immagina una società tedesca di e-commerce che vuole espandersi nel mercato italiano. Due aziende locali sono in vendita. Entrambe hanno bilanci simili, volumi analoghi e portafoglio clienti comparabile. Ma c’è una differenza:

  • La prima ha un’identità forte, packaging curato, community attiva su Instagram, e viene citata su blog di settore.
  • La seconda è praticamente invisibile online, il logo è datato, e la comunicazione è assente.

La società acquirente decide di puntare sulla prima, offrendo un multiplo più alto rispetto alla valutazione media di mercato. Il motivo? Il brand forte permette un’integrazione più rapida, una reputazione già consolidata e un go-to-market più veloce.

In questo caso, il branding ha fatto la differenza tra una trattativa standard e un’acquisizione premium.

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